Ricorso  per conflitto di attribuzioni della regione Lombardia, in
 persona  del  presidente  della  giunta   regionale   ing.   Giuseppe
 Giovenzana,  autorizzato  con delibera della giunta regionale n. 6471
 del 5 marzo 1991, rappresentato e difeso dagli avv.ti  prof.  Valerio
 Onida   e   Gualtiero  Rueca,  ed  elettivamente  domiciliato  presso
 quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega a margine
 del presente atto, contro il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri
 pro-tempore  in  relazione  al  d.P.C.M.  10 gennaio 1991, pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio 1991, contenente  "Atto
 di   indirizzo   e   coordinamento   alle   regioni   in  materia  di
 organizzazione degli uffici di statistica".
                               F A T T O
    Il d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, che detta "norme  sul  Sistema
 statistico nazionale e sulla riorganizzazione dell'Istituto nazionale
 di  statistica", in adempimento dalla delega di cui all'art. 24 della
 legge n. 400/1988, stabilisce fra l'altro, all'art. 5,  primo  comma,
 che  "spetta a ciascuna regione ed alle province autonome di Trento e
 Bolzano istituire con proprie leggi  uffici  di  statistica",  uffici
 che,  secondo la previsione dell'art. 2, primo comma, lett. c), dello
 stesso  decreto  legislativo,  fanno  parte  del  Sistema  statistico
 nazionale, e nei cui confronti si esercitano i poteri di "indirizzo e
 coordinamento   tecnici,   allo   scopo   di   renderne  omogenee  le
 metodologie", attribuiti all'Istat dal terzo comma dello stesso  art.
 5.
    Ai  sensi  del secondo comma del medesimo art. 5 "il Consiglio dei
 Ministri adotta  atti  di  indirizzo  e  di  coordinamento  ai  sensi
 dell'art.  2,  terzo  comma, lett. d), della legge 23 agosto 1988, n.
 400, per assicurare unicita' di indirizzo all'attivita' statistica di
 competenza delle regioni e delle province autonome".
    Ora nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 15 gennaio  1991  e'  stato
 pubblicato  il  decreto  del Presidente del Consiglio dei Ministri 10
 gennaio 1991, contenente "atto  di  indirizzo  e  coordinamento  alle
 regioni in materia di organizzazione degli uffici di statistica".
    Tale   decreto   contiene   una   dettagliata   disciplina   della
 organizzazione e dell'attivita'  degli  uffici  di  statistica  delle
 regioni:  disciplina  che  non  ha  alcuna  base  di  legge, esorbita
 dall'ambito del potere di indirizzo e coordinamento  attribuito  allo
 Stato, e per piu' versi appare lesiva delle competenze organizzative,
 legislative,   amministrative   e  dell'autonomia  finanziaria  delle
 regioni.
    La  ricorrente  pertanto  propone,  in  relazione  a detto decreto
 ricorso per conflitto di attribuzioni, per le seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    1. - Assenza di fondamento legislativo. Violazione  del  principio
 di legalita'.
    Il  decreto  impugnato pretende di fondarsi, oltre che sull'art. 2
 della legge n. 400/1988, sulla citata previsione dell'art. 5, secondo
 comma, del d.lgs. n. 322/1989. Ma tali disposizioni non costituiscono
 base legale sufficiente per l'atto di indirizzo in questione.
    Infatti, per quanto riguarda l'art. 2  della  legge  n.  400/1988,
 esso  non  e'  "norma  che  attribuisca  al  Governo la competenza ad
 esercitare  per  via  amministrativa  la  funzione  di  indirizzo   e
 coordinamento  e  che,  come tale, innovi il diritto positivo", ma e'
 norma "semplicemente diretta a ribadire la competenza, in via diretta
 e immediata, del Consiglio dei Ministri  a  deliberare  gli  atti  di
 indirizzo   e   di  coordinamento  governativi",  onde  non  vale  ad
 "eliminare le previsioni  normative  vigenti  al  momemto  della  sua
 entrata  in  vigore,  relative  alle  modalita'  di  esercizio  della
 predetta funzione", modalita' fra cui e' compreso in  particolare  il
 "principio di legalita' sostanziale" (sentenza n. 242/1989).
    Quanto  poi  all'art.  5,  secondo  comma,  del d.lgs n. 322/1989,
 questa Corte ha chiarito di recente che tale disposizione "si  limita
 a  richiamare  l'applicabilita'  dell'art.  2, terzo comma, lett. d),
 della legge n. 400/1988 all'attivita' statistica; essa, cioe' "non e'
 rivolta a istituire un determinato e particolare potere di  indirizzo
 e coordinamento, ma, piu' semplicemente, ribadisce che l'esercizio di
 tale  funzione  governativa  esige la deliberazione del Consiglio dei
 Ministri";  appare  dunque  chiara  "la  volonta'   del   legislatore
 ordinario  di  non  innovare  o  di  non  arrecare deroghe alle norme
 vigenti in materia di esercizio della relativa funzione  governativa"
 (sentenza n. 139/1990).
    Non vi e' dunque nessuna norma legislativa "sostanziale" che fondi
 l'esercizio  della potesta' di indirizzo e coordinamento "per dettare
 i criteri informativi sull'organizzazione degli uffici  regionali  di
 statistica",  come  si  esprimono  le premesse del decreto impugnato.
 Manca il "legittimo e apposito supporto nella  legislazione  statale"
 necessario  per  l'esercizio della potesta' statale, ed e' violato il
 principio di legalita', in quanto manca una legge  che  discerna  "le
 esigenze  unitarie,  che  sollecitano  l'esercizio della funzione", e
 detti "le norme volte ad attuarle", o stabilisca "almeno  i  criteri,
 in   base   ai  quali,  sempre  in  conformita'  di  dette  esigenze,
 l'indirizzo ed il coordinamento, ed i connessi vincoli dell'attivita'
 amministrativa regionale sono posti in  essere  mediante  atti  degli
 organi governativi" (sentenza n. 150/1982).
    Non varrebbe certo osservare in contrario che l'art. 21, lett. c),
 del  d.lgs n. 322/1989 prevede atti di indirizzo aventi ad oggetto "i
 criteri organizzativi e la funzionalita'.. .. ... degli enti e  degli
 uffici facenti parte del Sistema statistico nazionale".
   Infatti,  come  ha  chiarito  la  Corte  nella  citata  sentenza n.
 139/1990 "l'art. 21, lett. c), va interpretato alla luce dell'art. 5,
 secondo  e  terzo  comma,  che..  ..  ...  distingue  l'indirizzo   e
 coordinamento    'tecnico'    da   quello   politico-amministrativo":
 quest'ultimo concernente "l'indirizzo politico delle  amministrazioni
 regionali  (o delle province autonome", il primo, invece, consistente
 "in indirizzi e criteri volti  allo  scopo  di  rendere  omogenee  le
 metodologie  statistiche  applicate  dagli uffici di statistica delle
 regioni  (o  delle  province  autonome),  la  cui  determinazione  e'
 riservata  all'Istat".  Onde "l'espressione usata dall'art. 21, lett.
 c), non puo' essere intesa come se  si  riferisse  all'organizzazione
 amministrativa  o  alla  distribuzione  del personale negli uffici di
 statistica delle regioni e delle province autonome",  materia  questa
 che  "rientra  a  pieno  titolo nelle competenze regionali nei limiti
 stabiliti dalla Costituzione e, per  le  regioni  e  le  province  ad
 autonomia  differenziata,  dai  rispettivi  statuti", ma "deve essere
 interpretata in relazione alle finalita'  per  le  quali  e'  posta",
 cioe'   va  "intesa  nel  senso  che  si  riferisce  ai  criteri  per
 l'organizzazione tecnica  del  lavoro  statistico,  vale  a  dire  ai
 criteri  che  presiedono alla scelta e alle modalita' di applicazione
 delle metodologie statistiche, nonche' ai  criteri  volti  a  rendere
 tale  applicazione  piu'  efficiente  e  produttiva";  ne'  vi e' "un
 rapporto di necessaria implicazione tra indirizzi  sulle  metodologie
 statistiche  e  indirizzi  sull'organizzazione  amministrativa  degli
 uffici di statistica (e del relativo personale)", poiche'  "e'  vero,
 invece, che tra i due poteri sussiste una reciproca autonomia logica"
 (sempre sentenza n. 139/1990).
    I  compiti  di "indirizzo" previsti dall'art. 21 in capo all'Istat
 "non rientrano concettualmente  nella  funzione  di  indirizzo  e  di
 coordinamento  che  lo  Stato esercita nei confronti delle regioni al
 fine di salvaguardare l'essenziale unitarieta' della pluralita' degli
 indirizzi politici e  amministrativi  connaturata  a  un  ordinamento
 autonomistico,    ma   rappresentano,   piuttosto,   una   forma   di
 coordinamento tecnico, che ha il solo scopo di unificare o di rendere
 omogenee  le  metodologie  statistiche  utilizzate  dai  vari  centri
 pubblici  di informazione statistica e che, come tale, non incide sul
 potere - spettante alle regioni  e  alle  province  di  Trento  e  di
 Bolzano  entro  i  limiti di autonomia loro imposti - di programmare,
 dirigere e gestire l'attivita' dei propri uffici statistici secondo i
 propri bisogni" (sentenza n. 242/1989; concetti  poi  ribaditi  nella
 sentenza n. 139/1990).
    Pertanto  e'  palese che l'art. 21, lett. c) (come l'art. 5, terzo
 comma, del d.lgs n. 322/1989 non offre alcun supporto sostanziale  al
 potere  di  indirizzo  e  coordinamento  che il Governo ha preteso di
 esercitare con l'atto impugnato.
    Cio' anche a tacere del fatto che  nelle  premesse  dell'atto  non
 sono  affatto  richiamati  ne'  l'art. 5, terzo comma, ne' l'art. 21,
 lett. c), del d.lgs. n. 322/1989; che l'atto di  indirizzo  e'  stato
 adottato  dal  Governo,  nelle  forme previste dall'art. 2, lett. d),
 della legge n.  400/1988,  e  non  dall'Istat  ne'  del  comitato  di
 indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica, come previsto
 per  il  coordinamento "tecnico" dagli artt.  5, terzo comma, 17 e 21
 dello stesso d.lgs. n. 322/1989; che esso non  e'  comunque  rivolto,
 per  il suo contenuto, a "rendere omogenee le metodologie statistiche
 utilizzate", ma a incidere sulla organizzazione  degli  uffici  delle
 regioni e delle province autonome.
    Sotto  ogni  profilo,  dunque,  risulta  violato  il  principio di
 legalita'.
    Nelle premesse del decreto, la' dove si asserisce la necessita' di
 adottare l'atto di indirizzo e coordinamento per  dettare  i  criteri
 informativi    sull'organizzazione    degli   uffici   regionali   di
 "statistica", si aggiunge l'inciso "tenuto conto che in tale senso e'
 intervenuta intesa con i rappresentanti delle regioni".
    Ora,  e'  di  tutta  evidenza  che  nessuna ipotetica "intesa" fra
 rappresentanti  delle  regioni  e  dello  Stato  potrebbe  valere   a
 sostituire  la base legale mancante per l'esercizio della potesta' di
 indirizzo. Onde la censura di violazione del principio  di  legalita'
 resterebbe in ogni caso integra.
    Tuttavia,  in fatto, non e' vero che sia intervenuta "intesa con i
 rappresentanti delle regioni" sul contenuto del  decreto,  e  nemmeno
 sulla  necessita'  di  dettare  con  atto  di  indirizzo  "i  criteri
 informativi   sull'organizzazione   degli   uffici    regionali    di
 statistica".
    In  realta', risulta che la conferenza Stato-regioni, nella seduta
 del 6 marzo 1990, su proposta  dell'apposito  comitato  speciale,  ha
 dato  il  proprio  assenso  ad  una "intesa Stato-regioni sul Sistema
 statistico nazionale" (doc. 1), nella quale ci si limita a  convenire
 "che  evidenti ragioni di funzionalita' postulano la omogeneizzazione
 delle  varie  iniziative  regionali,  ai   fini   dell'efficienza   e
 dell'efficacia  dell'intero  sistema", e che "tali oggettive esigenze
 possono venir soddifatte attraverso intese tra Stato  e  regioni  che
 concernano gli aspetti piu' prettamente organizzatori delle strutture
 che andranno a costituire o rimodulare".
    Tutto  al contrario, dunque, di quanto e' affermato nelle premesse
 del decreto, si postulava in tali accordi non l'emanazione di un atto
 di indirizzo, ma la realizzazione di "intese" tra  Stato  e  regioni,
 che  avrebbero  tra  l'altro  dovuto  essere sottoposte al preventivo
 "esame tecnico da parte del comitato speciale".
    Nel testo poi delle "intese per la prima costituzione degli uffici
 di  statistica  regionale",  allegato  all'intesa  predetta,  non  si
 prevede  affatto  quanto e' contenuto nel decreto impugnato, ma ci si
 limita a enunciare che all'ufficio di  statistica  "va  conferito  un
 elevato grado di autonomia organica, tecnica e finanziaria"; che esso
 "e'  il  referente  regionale  nei  confronti  del Sistema statistico
 nazionale"; a elencare talune competenze  dell'ufficio;  a  prevedere
 che  per  la  formazione  dei  quadri  direttivi  le  regioni possono
 avvalersi, mediante apposite convenzioni, delle strutture dell'Istat;
 che "nell'effettuazione delle indagini per conto dell'amministrazione
 di appartenenza, l'ufficio si atterra' ai  quadri  concettuali,  alle
 classificazioni,  alle  metodologie  di rilevazione e trattamento dei
 dati concordanti con il sistema statistico"; che le  regioni,  previe
 intese  con  l'Istat, possano avvalersi per le proprie indagini della
 rete locale di rilevazione; e  a  confermare  l'obbligo  del  segreto
 statistico come regolato dal d.lgs. n. 322/1989.
    Come   si   vede,   in   nessun   modo  il  decreto  impugnato  e'
 riconducibile, nemmeno dal punto  di  vista  sostanziale,  all'intesa
 approvata dalla conferenza.
    2. - Mancata consultazione della conferenza Stato-regioni.
    Ai  sensi  dell'art.  12,  quinto  comma, lett. b), della legge n.
 400/1988 la conferenza permanente per i rapporti  tra  lo  Stato,  le
 regioni  e  le  province  autonome deve essere consultata tra l'altro
 "sui criteri generali relativi all'esercizio delle  funzioni  statali
 di  indirizzo  e  coordinamento inerenti ai rapporti tra lo Stato, le
 regioni, le province autonome e gli enti infraregionali".
    Nella  specie  pero' tale consultazione non vi e' stata, ne' certo
 vale a sostituirla l'intesa - di contenuto affatto diverso -  cui  si
 e' fatto riferimento nel punto precedente.
    Tale  violazione  procedurale  si  configura  come vizio dal quale
 discende  di  per  se'  una  lesione   dell'autonomia   regionale   e
 provinciale.
    3.  -  Lesione  dell'autonomia organizzativa delle regioni e delle
 province autonome.
    Diverse disposizioni del decreto  impugnato  ledono  concretamente
 l'autonomia organizzativa delle regioni e delle province autonome.
    In  particolare:  l'art.  3,  dedicato  all'"organizzazione  degli
 uffici di statistica delle regioni", stabilisce dei criteri direttivi
 che nulla hanno  a  che  fare  con  l'omogeneita'  delle  metodologie
 statistiche,    e   incidono   invece   direttamente   sull'autonomia
 organizzativa.
    Cosi' e' a dire delle previsioni secondo cui l'ufficio  e'  unico,
 e'  collocato  nell'ambito della presidenza della giunta regionale ed
 alle  dirette  dipendenze  del  presidente,  mentre  possono   essere
 costituite  sezioni  operative  distaccate,  dipendenti dall'ufficio,
 presso singole strutture  dell'organizzazione  regionale  (lett.  a);
 della  previsione  secondo  cui  agli  uffici  deve essere assicurata
 autonomia organizzativa e tecnica,  e  pure  autonomia  "finanziaria"
 "anche  attraverso  la  costituzione  di appositi fondi di bilancio a
 gestione separata" (lett. b), nel che si configura una lesione  anche
 dell'autonomia  contabile  delle  regioni e delle province autonome);
 delle minuziose previsioni circa il funzionario preposto all'ufficio,
 la sua nomina, la sua qualificazione, categorie entro le  quali  deve
 essere  scelto  (lett.  c); nonche' circa l'attrezzatura minima della
 quale l'ufficio sara' dotato, e che  sara'  "determinata  dall'Istat"
 (lett.  d), e circa il numero di addetti e l'articolazione in sezioni
 (lett. e).
    L'art. 4, primo comma, del decreto stabilisce che tutti i prodotti
 delle rilevazioni effettuate dall'ufficio nell'ambito  del  programma
 statistico  nazionale  "una  volta vagliate nella loro attendibilita'
 dal  responsabile  dell'ufficio  stesso",   devono   essere   inviate
 all'Istat nelle forme e con le modalita' che saranno fissate.
    A   sua   volta  l'art.  5,  che  si  riferisce  alle  rilevazioni
 statistiche "di interesse regionale", stabilisce al primo  comma  che
 "i  prodotti  statistici  ufficiali  dell'ufficio di statistica delle
 regioni  costituiscono  patrimonio  conoscitivo   delle   regioni   e
 principale  fonte  informativa  delle  stesse";  disciplina al quarto
 comma la diffusione, come dati  statistici  ufficiali,  dei  prodotti
 delle  rilevazioni,  stabilendo  che  essa "puo' essere assentita, su
 richiesta del presidente della  giunta  regionale,  dal  responsabile
 dell'ufficio  di  statistica  della  regione,  che  deve  previamente
 vagliarne l'attendibilita'", e che in  mancanza  di  tale  assenso  i
 prodotti  stessi  "non  possono  essere diffusi all'esterno come dati
 conoscitivi"; stabilisce al sesto comma che l'utilizzazione da  parte
 della  regione  di dati statistici provvisori, elaborati dall'ufficio
 di  statistica  "puo'  essere  consentita  in  via  eccezionale   dal
 responsabile  dell'ufficio  di statistica", e che tali dati "non sono
 considerati a nessun effetto dati statistici ufficiali e non  possono
 essere diffusi all'esterno come dati conoscitivi".
    Ora,  stabilire  quali  siano  i  compiti e le responsabilita' del
 funzionario preposto all'ufficio di  statistica,  i  suoi  poteri,  i
 rapporti  col presidente, le possibilita' e i limiti della diffusione
 all'esterno dei dati raccolti nell'ambito delle rilevazioni  autonome
 della  regione,  e'  materia  rientrante all'evidenza nella autonomia
 legislativa e organizzativa della regione o della provincia autonoma.
    4. -  Altri  profili  di  violazione  dell'autonomia  regionale  e
 provinciale.
    Anche  altre  disposizioni  del  decreto  impugnato  ledono  sotto
 diversi profili l'autonomia delle regioni e delle Province autonome.
     a) L'art. 2 del decreto impone  alle  regioni  di  far  pervenire
 all'Istat   il   programma   delle  rilevazioni  statistiche  di  suo
 interesse, e di adottare tale programma ogni anno entro il 31  marzo.
 Tale obbligo va al di la' di quanto previsto dal d.lgs n. 322/1989, e
 il  termine stabilito puo' non trovarsi in armonia con le statuizioni
 regionali  in  vigore  circa  le   procedure   della   programmazione
 regionale.
     b)  Pure  lesivo  dell'autonomia  regionale  e'  il  terzo  comma
 dell'art. 5, secondo cui l'Istat "puo'  autorizzare"  le  regioni  ad
 avvalersi,  per  le rivelazioni di proprio interesse, di altri uffici
 di statistica facenti parte del Sistema statistico nazionale,  previa
 intesa con l'amministrazione interessata.
    Infatti,  sulla  base di intese con le amministrazioni interessate
 la regione deve essere libera di avvalersi di altri uffici, senza che
 tale possibilita' sia subordinata  ad  una  impropria  autorizzazione
 dell'Istat,  la  quale  non  trova  fondamento  in  alcuna previsione
 legislativa ne' in alcuna esigenza razionale.
     c)  Parimenti  appare  lesivo  dell'autonomia  delle  regioni  la
 statuizione  del quinto comma dell'art. 5, che limita la possibilita'
 per la regione di affidare rilevazioni statistiche, anche al di fuori
 del programma statistico  nazionale,  ad  organizzazioni  esterne,  e
 vieta  la  diffusione  dei  prodotti  di  tali  rilevazioni come dati
 statistici ufficiali.
     d) L'art. 6, quarto comma, dopo aver previsto  che  l'ufficio  di
 statistica  della regione possa chiedere all'Istat la trasmissione di
 dati individuali in possesso dell'Istituto e concernenti  il  proprio
 ambito demografico e territoriale "se necessari al fine della propria
 attivita'  istituzionale",  stabilisce  che "il Presidente dell'Istat
 valuta  la  richiesta  tenendo  conto   delle   necessita'   espresse
 dall'ufficio   di  statistica  della  regione  e  delle  esigenze  di
 riservatezza imposte dalla disciplina del segreto statistico".
    Ora, l'art. 24, lett. e), della legge n. 400/1988 e l'art. 10  del
 d.lgs. n. 322/1989 stabiliscono che le regioni e le province autonome
 hanno "accesso diretto" al Servizio statistico nazionale e ai dati da
 esso elaborati.
    Non  si  giustifica  dunque in alcun modo un potere di valutazione
 del Presidente dell'Istat circa la trasmissione di  dati  individuali
 (che  non  significa  dati  nominativi),  poiche'  non  si  tratta di
 tutelare il segreto statistico (che e' volto al  fine  di  apprestare
 "le  garanzie  essenziali a tutela dei diritti dei singoli individui:
 sentenza n. 139 del 1990),  ne'  e'  concepibile  che  il  Presidente
 dell'Istat  possa  essere  titolare  di  un  potere  discrezionale di
 apprezzamento circa la pertinenza o  meno  dei  dati  richiesti  alle
 attivita' istituzionali della regione o della provincia autonoma.
    5. - Violazione dell'autonomia finanziaria.
    Il  decreto  impugnato  tace  sulle  modalita'  di  copertura e di
 rimborso  alle  regioni  e  delle  province  autonome   degli   oneri
 finanziari  sostenuti  per  l'organizzazione e l'attivita' dei propri
 uffici di statistica, allorquando essi operano  nell'interesse  dello
 Stato, nell'ambito del programma statistico nazionale.
    Ma,  come questa Corte ha chiarito nella sentenza n. 139/1990, non
 si puo' "esigere che le  regioni  finanzino  attivita'  di  interesse
 nazionale",  onde le spese occorrenti per le attivita' che gli uffici
 di statistica regionali e provinciali sono tenuti a compiere  per  il
 Servizio  statistico  nazionale,  ove  non  siano altrimenti coperte,
 devono gravare sul bilancio dell'Istat.
    Il silenzio del decreto  impugnato  sul  punto  sembra  dunque  in
 contrasto  con  il principio affermato da questa Corte; e anche sotto
 questo   profilo   l'atto   impugnato   e'   lesivo    dell'autonomia
 (finanziaria) delle regioni e delle province autonome.